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Un elenco delle sue principali imprese decorative dà la misura dei ritmi di lavoro cui si sottopone. Nel 1932 scolpisce due rilievi per la Casa dei Sindacati Fascisti a Milano. Nel 1933 alla V Triennale coordina gli interventi di pittura murale, chiamando i migliori artisti italiani ad eseguire decorazioni monumentali. Lui stesso esegue il grande
Il Lavoro, oltre a numerose opere plastiche. (È in questa occasione, tra l'altro, che si rinfocolano le polemiche anti-novecentiste, iniziate già nel 1931-1932 e animate soprattutto da Farinacci e dal suo giornale "Il Regime Fascista". Sironi, fatto oggetto di violenti attacchi, difende con articoli appassionati le ragioni del "Novecento"
25).
Nel 1934 partecipa con Terragni al concorso per il Palazzo del Littorio di Roma, progettando rilievi e pitture murali. Nella seconda metà del decennio esegue l'affresco
L'Italia tra le Arti e le Scienze nell'Aula Magna dell'Università di Roma (1935); il mosaico
L'Italia corporativa (1936-1937, oggi a Palazzo dei Giornali, Milano); gli affreschi
L'Italia, Venezia e gli Studi per Ca' Foscari a Venezia (1936-1937) e
Rex imperator e
Dux per la Casa Madre dei Mutilati a Roma (1936-1938); il mosaico
La Giustizia fiancheggiata dalla Legge per il Palazzo di Giustizia di Milano (1936-1939); due grandi bassorilievi per l'Esposizione Internazionale di Parigi (1937); la vetrata
L'Annunciazione per la chiesa dell'Ospedale di Niguarda a Milano (1938-1939). Nel 1939 progetta interventi scultorei per il concorso per il
Danteum, nel gruppo di lavoro diretto da Terragni. Fra il 1939 e il 1942 collabora con Muzio al Palazzo del "Popolo d'Italia", realizzando le decorazioni della facciata e di alcuni interni, e intervenendo anche nel progetto architettonico.
Accanto alle grandi imprese decorative non bisogna dimenticare i complessi allestimenti architettonici, tra cui nel 1932 quello di varie sale della Mostra della Rivoluzione Fascista; nel 1933 dei molti interventi per la Triennale di Milano; nel 1934 della Sala della Grande Guerra alla Mostra dell'Aeronautica italiana; nel 1935 del Salone d'Onore alla Mostra Nazionale dello Sport; nel 1936 del Padiglione Fiat alla Fiera Campionaria di Milano; nel 1937 della sala dell'Italia d'Oltremare all'Expo Internazionale di Parigi; nel 1939 di una parte della Mostra Nazionale del Dopolavoro a Roma.
È un impegno senza tregua, le cui scadenze assillanti compromettono perfino la sua salute, e che tuttavia non appaga completamente la sua tensione creativa, frustrata dalle incomprensioni della committenza, se non dall'invidia dei colleghi. "È un modesto sforzo, un esile germe di quello che potrebbe essere il mio lavoro se i suddetti sopraffattori fossero invece che vivi, accoppati come si meritano e come non sono" scrive nel 1937 dei bassorilievi di Parigi
26.
Lungo il decennio riduce radicalmente, invece, la partecipazione a mostre, anche se tiene due importanti personali alla Galleria Milano (1931 e 1934). Sintomo del suo disinteresse è un episodio poco conosciuto: invitato alla Biennale di Venezia del 1934, si impegna a esporre degli inediti, ma non invia nessun quadro, ignorando i telegrammi sempre più affannosi del segretario della rassegna, Maraini, che lo sollecita fra supplica e intimazione, e che infine, a cinque giorni dalla vernice, si vede costretto, "dolente", a "disporre altrimenti spazio finora serbato"
27.
Del resto, quando Sironi nel 1942 tiene una personale alla Galleria del Milione, espone una serie di tempere che definisce "frammenti di opere murali", come a ribadire la sua aspirazione al respiro monumentale della composizione
28.
E siamo ormai in tempo di guerra. Sironi, nonostante intuisca presto quale sarà l'andamento del conflitto ("Dio salvi Voi, e con Voi tutti noi" scrive a Mussolini nel novembre 1942
29) aderisce alla Repubblica di Salò, seguendo con crescente angoscia l'evolversi degli eventi.
25 Contrariamente a quanto spesso si sostiene, però, Sironi non è costretto a dimettersi dal "Popolo d'Italia" (e continua anzi a collaborare col supplemento mensile del quotidiano, la "Rivista Illustrata del Popolo d'Italia"), né gli viene meno la stima personale di Mussolini. L'aneddoto riportato da Ojetti, secondo cui il dittatore nel 1933 avrebbe criticato le "manone" e i "piedoni" sironiani, sbottando in un: "Mario Sironi è un imbecille" (U. Ojetti, I taccuini, Firenze 1954, p. 413) è di dubbia attendibilità, e va comunque ridimensionato. Mussolini, ancora negli anni di Salò, scriverà invece: "L'arte di Sironi è il fondale su cui ho edificato la mia rivoluzione". Anche la mancata partecipazione dell'artista alla Biennale di Venezia del 1934, spesso attribuita alle polemiche con Farinacci, ha, come vedremo, un'altra causa.
26 M. Sironi a M. Sarfatti (1937), in M. Sironi, Lettere, cit., n. 42.
27 La vicenda, finora mai rilevata, è narrata analiticamente, con la citazione completa dei telegrammi di Maraini, in Ai margini della Biennale, "La Sera", Milano, 19 maggio 1934, p. 3.
28 Scritti..., cit., p. 248.
29 M. Sironi, Lettere, cit., n. 52.